venerdì 7 ottobre 2016

Soli in compagnia

Il post di Dario mi induce a raccontarvi una recente esperienza il cui succo è: si può suonare da soli anche quando si è in compagnia.
Ho incontrato in questi ultimi tempi diverse persone desiderose di partecipare a questo "progetto folk acustico". Una in particolare mi ha colpito.
Prima mi ha chiesto quali pezzi si prevedevano in repertorio. Dopo di che, quando ci siamo trovati per provarli insieme, si è presentato con il suo strumento, il leggio e un ordinatissimo raccoglitore dove aveva scritto tutte le partiture che lo riguardavano. Durante le prove non ha mai staccato gli occhi dal suo spartito, ha parlato pochissimo e non ha sbagliato una nota.
Accidenti - mi sono detto - questo è davvero bravo.
Poi, ripensandoci, ho realizzato che questa persona suonava completamente da sola, concedendo praticamente nulla all'aspetto comunicativo, ludico, espressivo del suonare insieme.
Ci siamo incontrati in separata sede e ci siamo parlati con sincerità. Mi ha detto che non sopporta l'improvvisazione, non sopporta che si venga alle prove senza essere preparati (come fanno solitamente i dilettanti e in particolare modo altre persone incontrate alle prove).
Io gli ho parlato della musica come "comunicazione" interpersonale e del fatto che io, come tanti, vivo la musica da dilettante, ovvero per diletto (divertimento) nel cui ambito la comunicazione e l'emozione che si riesce a trasmettere, hanno un peso. Nel suo modo di suonare non vi era nulla di tutto questo. E se anche mi diceva che io sono bravo, io mi sento e sono da questa parte del fossato rispetto a dove si trova lui.
Invidio e ammiro la sua preparazione teorica ma non la sua rigidità mentale, il suo essere soli anche in mezzo agli altri, il suo suonare "autistico". Siamo su due lati opposti dello stesso pianeta: ne abbiamo convenuto e la cosa è finita lì.

Ma io ne ho tratto questa considerazione: ci sono molti modi di affrontare la musica, tanti quante sono le sfumature caratteriali di ciascuno di noi, e tutte sono meritevoli di attenzione.




19 commenti:

  1. E' vero ogni modo di affrontare la musica è meritevole di attenzione, ed è anche per questo che è importante scegliersi i compagni giusti per un viaggio tra le note.
    Si può essere anche dei fenomeni e divertirsi assieme a musicisti meno preparati. Ovvio che se una band si pone dei traguardi, degli obbiettivi da raggiungere e un componente rimane sempre indietro, può creare dei problemi che ne la simpatia ne l'amicizia possono risolvere, però quella rigidità mentale di cui parli, quell'autismo musicale, è per fortuna un mondo che non conosco e che non voglio conoscere, una situazione che obbliga a spingersi alla perenne ricerca di colleghi simili o migliori, mi viene in mente la celebre frase di Marco Terenzio Varrone "Mutuum muli scabunt" I muli si grattano l'uno con l'altro...
    ;-)

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  2. bel post, belle considerazioni

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  3. Ragionare su queste cose fa di fingercooking un posto diverso , non dico migliore perchè sono di parte , ma diverso si , è fuor di dubbio . I musicanti dilettanti ( chi ne è conscio e chi meno ) si dividono in tante sottocategorie , ne ho incontrati tanti in 40 anni , ma la passione per la musica abbinata alla voglia della pura condivisione traccia una linea ben marcata . Non dico che si deve andare alle prove impreparati e solo per passare il tempo , il rispetto prima di tutto : ma ritrovarsi a sorridere dei propri limiti , come anche dei pregi , rende piacevole fruttoso il tempo passato insieme , sia che sia finalizzato verso un qualcosa come un evento , o anche solo per incrociare i manici. Chiaro , ho avuto a che fare anche con amici di lunga data che venivano in saletta totalmente fuori contesto , gli si faceva notare con il sorriso , e quasi sempre , se la persona era onesta , o si dava una regolata o chiedendo scusa si defilava . Magari venendo ogni tanto a trovarci solo per il piacere di stare insieme. E il piacere di stare insieme , anche con la chitarra al collo , non può mancare . Anche tra i professionisti , i turnisti ad esempio , se si instaura quell'aura di condivisione viene tutto meglio. Poi , chiaramente , un professionista suona lo stesso e in maniera impeccabile , ma nella musica , come nella vita , ci vuole cuore . Senza , mi basta il mondo che affronto tutti i giorni !

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    1. In genere pongo sempre la fatidica domanda: visto che lavori, hai famiglia, impegni ecc...di quanto tempo credi di disporre per questo hobby? In base alle risposte si possono fissare degli obiettivi (in genere moolto scarsini)

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  4. Apprezzo molto le tue considerazioni e la tua tolleranza.
    sì, in fondo c'è posto per tutti, per i perfettini, gli istintivi, quelli che si sopravvalutano e quelli che si sottovalutano, quelli che suonano col cuore, con la testa col portafogli e co... gli autistici, gli autisti (no forse quelli no), quello che conta è trovare un (seppur minimo) modo di comunicare, e poi ognuno fa le sue scelte.
    Io stesso non ho sempre il massimo feeling con i componenti del mio gruppo (e suoniamo una musica che vive di interplay), questo si sente quando manca e si apprezza quando c'è,ma perché tutto vada bene non si può cambiare all'infinito cercando sempre nuovi compagni, bisogna prima di tutto cercare di ascoltare gli altri e di mettersi sulla loro lunghezza d'onda, è una cosa a cui ci si può allenare. Ovvio che quando è il momento di dire basta lo si capisce.

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  5. La musica, è una forma di espressione, ed anche una forma di aggregazione, se ci si ferma al mero tecnicismi, si perde il significato vero della forma espressiva, suonare in quel modo, è suonare per se stessi, allora non ha senso suonare insieme, basterebbe una base per suonare autonomamente, io credo che suonare insieme, ci da modo di crescere, umanamente e musicalmente parlando, non per nulla chi suona da solo alla fine piano piano perde gli stimoli giusti, e si appiattisce su se stesso, chi non ama l'improvvisazione, secondo me, non è un musicista, ma un semplice esecutore; ho conosciuto gente che si "accartocciata" nello studio teorico e tecnico della musica e del suo strumento, ma che comunque quando suonava, non era in grado di arrivare a chi lo stava ascoltando, e la preparazione tecnica lo rilegava in un universo personale fatto di teoria sterile

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  6. Mi riconosco abbastanza nella situazione del suonatore onanista...

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    1. Nl senso che quando suoni con gli altri, non ti fili nessuno, e detesti l'improvvisazione? Naaa non ci credo per niente, forse sei un po' pignolo, ma non certo come l'amico di Max, quello da come ho capito, sembra più un giradischi che un musicista 😀

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    2. No, nel senso che, per necessità più che per scelta, suono quasi sempre da solo. Quelle rare volte che ho suonato con qualcuno, è stata una esperienza allo stesso tempo entusiasmante e deprimente. Entusiasmante perchè suonare in gruppo è una situazione di interscambio ed arricchimento notevole, mentre il suonare da solo alla fine rimane un atto onanistico. Deprimente perchè in quelle situazioni mi sono spesso sentito inadeguato. Riguardo all'improvvisazione, non la detesto affatto e vorrei essere capace ad improvvisare, ma è proprio una di quelle cose che mi fa sentire inadeguato.

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    3. Il mio accenno all'improvvisazione era comunque in senso lato. Alludevo al fatto di venire alle prove avendo a malapena ascoltato il pezzo e improvvisare lì per lì la propria parte. Per uno che si scrive la notazione musicale a casa e che, in prova, legge ed esegue quanto ha preparato, è qualcosa che fa uscire dai gangheri. E' anche comprensibile.

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  7. il Rev fotografa bene due approcci diffusi che spesso si trovano in contrapposizione e creano frizioni anche all'interno delle band. Chi insegue la tecnica, chi cerca la musicalità. Personalmente ho avuto a che fare con musicisti tecnicmente molto preparati ma poco musicali, e con musicisti tecnicamente approssimativi ma dotati di grande musicalità. Regolarmente mi sono trovato male coi primi e benissimo coi secondi. I primi hanno sempre bisogno di regole certe (quel passaggio va suonato così) i secondi cercano una relazione. Ecco, secondo me suonare con gli altri significa creare una relazione oltre le regole certe, e spesso è anche una questione di pelle, direi quasi di fiducia reciproca.
    Ovviamente i musicisti dotati di buona tecnica e grande musicalità sono il massimo. E di solito fanno i professionisti :D

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    1. Già...ma professionisti che non se la tirano . Flaco è un esempio !

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  8. Bel posto reverendo, mi è capitata una situazione simile, di non comunicazione, ne parlerò in un posto che intendo fare.... da almeno due mesi.

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  9. Chapeau,condivido tutto e di più,se dovessi aprire il libro della mia situazione attuale
    di gruppo/band...

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  10. Dev'essere triste vivere la musica in quel modo

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  11. Straquoto questo post ! Tutto verissimo.
    Questo, è ovviamente anche altre cose, rende difficile trovare un buon equilibrio nei gruppi diciamo dilettantistici.
    Credo sia esperienza comune nei nostri gruppi

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    1. Già, tipico dei gruppi dilettanti. Tra i professionisti le relazioni interpersonali sono molto diverse. Del resto in una grande orchestra credo non possa essere che così. La testa pensante è una, direttore o capo orchestra, si fa come dice lui e basta.

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    2. Ricordo anche che Vincenzo, che era spesso in contatto con professionisti, diceva che facevano una vita non proprio desiderabile. Sempre in giro fuori di casa, In perenne invidiosa competizione con i colleghi. Proprio come potrebbe succedere in un qualsiasi ambiente di lavoro dove emerge solo il direttore/capo ufficio e gli altri sono appiattiti nel loro ruolo.

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