mercoledì 1 maggio 2013

Le ricette della memoria




Sulle colline delle Langhe e del Roero provvidenzialmente la tradizione gastronomica non si è persa, anzi costituisce una delle fortune di quelle terre. Non s’è persa per la lungimiranza o semplicemente per l’affetto di tante donne verso un patrimonio di cultura materiale tramandato da madre in figlia in nipote. Tuttavia ci sono stati momenti, più o meno recenti, specie durante la ripresa economica postbellica, in cui si è corso il rischio di mandare in frantumi questo patrimonio per inseguire la chimera del modernismo ad ogni costo. La smania del cambiamento, anche se giustificato dalla ricerca del miglioramento economico e, in pratica, dell’emancipazione dalla povertà quotidiana, vedeva appunto, tra l’altro, nelle vecchie mescite e nelle osterie di paese un segno evidente di uno status da modificare e/o da eliminare. Così, il laminato plastico, la cosidetta formica, prese il posto del legno massello in molti locali e purtroppo anche in cucina le manipolazioni tradizionali subirono forti modificazioni o furono sostituite con altre di dubbio gusto e fantasia infausta. Per fortuna, il fenomeno non fu capillare: qua e là alcuni punti di ristoro passarono indenni in mezzo a tal bufera e diventarono luoghi di riferimento della buona cucina di territorio. Furono alcuni noti ristoranti e trattorie ancora oggi in esercizio con la gestione dei discendenti dei proprietari di allora; altri invece hanno chiuso o è cambiata la conduzione. Tra questi vorrei ricordare la Trattoria da Milio di Benevello, la Locanda della Stazione di Monchiero, l’Osteria del Podio di Benevagienna, e l’Osteria dell’Unione di Treiso. E proprio da quest’ultima prendo spunto per raccontarvi di una ricetta che la magnifica cuoca degli anni settanta, amica di mia mamma,  trasformava in una dolcissima poesia di cui io vado matto: il bonèt.


Per otto persone (tempo preparazione e cottura circa 1 ora, 1 ora e un quarto)
mezzo litro di latte intero fresco
4 uova fresche
6 (anche 8) cucchiai di zucchero
2 (anche 4) cucchiai di cacao in polvere
80 gr di amaretti
2/3 cucchiai di rum


Sbattete bene le uova intere in una terrina, unite quattro cucchiai di zucchero, il cacao, gli amaretti sbriciolati con le mani, il rum ed il latte. Amalgate bene e con cura. A questo punto bisogna preparare il caramello: scaldate quattro cucchiai di zucchero in un pentolino fino a color nocciola, spruzzate poi un po’ d’acqua (la pasta deve essere filante) e mescolate rapidamente girando il pentolino sulla fiamma viva. L’operazione termina quando il caramello ha consistenza vitrea e si è inscurito. Versate il caramello caldissimo sul fondo e sui lati di uno stampino da forno (meglio se rettangolare) tenuto in caldo per facilitare lo scivolamento del caramello: muovendo ed inclinando lo stampo si deve ottenere un velo uniforme che via via solidifica. Travasate il composto dalla terrina e cuocete a bagnomaria in forno a 180 gradi, per 30 minuti. Un paio d’ore in frigo e poi sformate e servite.


 

7 commenti:

  1. come dice Perry scatena una libidine gastronomica "esagerata"

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    1. eheheh senno' non l'avrei pubblicata, ti pare? :)

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  2. Che favola il bonèt.. l'ho mangiato in piola venerdì scorso..
    ;-)

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  3. volevo farlo sti giorni, ma non ho avuto il tempo...ah, beato te!

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  4. Uno dei più classici dolci piemontesi, buonissimo. Dalle mie parti nel Monferrato si usa di più la torta 'd pum (quella con cioccolato e amaretti, senza farina). Se ritrovo la ricetta la posto.
    Ciao.

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