Sulle colline
delle Langhe e del Roero provvidenzialmente la tradizione gastronomica non si è
persa, anzi costituisce una delle fortune di quelle terre. Non s’è persa
per la lungimiranza o semplicemente per l’affetto di tante donne verso un
patrimonio di cultura materiale tramandato da madre in figlia in nipote.
Tuttavia ci sono stati momenti, più o meno recenti, specie durante la ripresa
economica postbellica, in cui si è corso il rischio di mandare in frantumi
questo patrimonio per inseguire la chimera del modernismo ad ogni costo. La
smania del cambiamento, anche se giustificato dalla ricerca del miglioramento economico
e, in pratica, dell’emancipazione dalla povertà quotidiana, vedeva
appunto, tra l’altro, nelle vecchie mescite e nelle osterie di paese un segno
evidente di uno status da modificare e/o da eliminare. Così, il laminato plastico,
la cosidetta formica, prese il posto del legno massello in molti locali e
purtroppo anche in cucina le manipolazioni tradizionali subirono forti
modificazioni o furono sostituite con altre di dubbio gusto e fantasia
infausta. Per fortuna, il fenomeno non fu capillare: qua e là
alcuni punti di ristoro passarono indenni in mezzo a tal bufera e diventarono
luoghi di riferimento della buona cucina di territorio. Furono alcuni noti
ristoranti e trattorie ancora oggi in esercizio con la gestione dei discendenti
dei proprietari di allora; altri invece hanno chiuso o è cambiata la conduzione.
Tra questi vorrei ricordare la Trattoria da Milio di Benevello, la Locanda
della Stazione di Monchiero, l’Osteria del Podio di Benevagienna, e l’Osteria dell’Unione
di Treiso. E proprio da quest’ultima prendo spunto per raccontarvi di una
ricetta che la magnifica cuoca degli anni settanta, amica di mia mamma, trasformava in una dolcissima poesia di cui
io vado matto: il bonèt.
Per otto persone
(tempo preparazione e cottura circa 1 ora, 1 ora e un quarto)
mezzo litro
di latte intero fresco
4 uova
fresche
6
(anche 8) cucchiai di zucchero
2
(anche 4) cucchiai di cacao in polvere
80 gr
di amaretti
2/3
cucchiai di rum
Sbattete bene le
uova intere in una terrina, unite quattro cucchiai di zucchero, il cacao, gli
amaretti sbriciolati con le mani, il rum ed il latte. Amalgate bene e con cura.
A questo punto bisogna preparare il caramello: scaldate quattro cucchiai di
zucchero in un pentolino fino a color nocciola, spruzzate poi un po’ d’acqua
(la pasta deve essere filante) e mescolate rapidamente girando il pentolino
sulla fiamma viva. L’operazione termina quando il caramello ha consistenza
vitrea e si è inscurito. Versate il caramello caldissimo sul
fondo e sui lati di uno stampino da forno (meglio se rettangolare) tenuto in
caldo per facilitare lo scivolamento del caramello: muovendo ed inclinando lo
stampo si deve ottenere un velo uniforme che via via solidifica. Travasate il
composto dalla terrina e cuocete a bagnomaria in forno a 180 gradi, per 30
minuti. Un paio d’ore in frigo e poi sformate e servite.
Sto leccando lo schermo!
RispondiEliminavecchio bavoso!!!
Eliminacome dice Perry scatena una libidine gastronomica "esagerata"
RispondiEliminaeheheh senno' non l'avrei pubblicata, ti pare? :)
EliminaChe favola il bonèt.. l'ho mangiato in piola venerdì scorso..
RispondiElimina;-)
volevo farlo sti giorni, ma non ho avuto il tempo...ah, beato te!
RispondiEliminaUno dei più classici dolci piemontesi, buonissimo. Dalle mie parti nel Monferrato si usa di più la torta 'd pum (quella con cioccolato e amaretti, senza farina). Se ritrovo la ricetta la posto.
RispondiEliminaCiao.